Archivi categoria: Campi estivi

Cercare di capire

Questa è una storia cattiva. Torino, Corso Unità d’Italia, un vialone che arriva sparato nel cuore della città. Un uomo di 47 anni, Marco Nebiolo, noto professionista, guida la sua auto verso casa. Arrivato a un semaforo fa la cosa giusta: si ferma al giallo. La macchina che lo segue lo tampona. A bordo ci sono tre persone sovraeccitate, già in lite tra loro. Una guardia giurata, la sua compagna e il figlio di lei, un ragazzino di sedici anni. Scendono dalla macchina come furie e affrontano Nebiolo a brutto muso. Il ragazzino agli insulti aggiunge un cazzotto spaventoso che scaraventa Nebiolo per terra facendogli perdere i sensi. I tre se ne vanno. Qualcuno chiama un’ambulanza e Nebiolo arriva all’ospedale con un brutto trauma cranico. Secondo i medici, se avesse avuto dieci anni in più sarebbe morto. Salvini twitta: «Le norme del codice della strada non sono sufficienti a punire violenze del genere: serve il carcere». Verrebbe da dirgli che è già previsto per chi aggredisce e ferisce un altro essere umano. Ma sarebbe inutile. Lo sa bene. Come se il punto fosse quello. Non lo è.
E a spiegarglielo, con una delicatezza di fronte alla quale bisognerebbe inchinarsi, arriva la moglie di Nebiolo, Manuela. Dice: «Chi ha sbagliato dovrà assumersi le sue responsabilità, ma non sarà il carcere a fare crescere quel ragazzo che ha l’età di mio figlio. Non sono stupita da lui, ma dagli adulti che erano con lui. Quando vedi tua madre che si comporta in quel modo, che urla e che insulta, e un altro uomo che non fa nulla per fermarti, pensi che sia giusto fare così».
Ha ragione. I nostri figli ci guardano. Non scusa nessuno. Cerca di capire. Anche lei a voce bassa. Non ha bisogno di forca. Ha bisogno di un mondo più civile.
Andrea Malaguti, La Stampa, 3 dicembre 2023  

Pregare in famiglia

In questa intervista, Matteo Dal Santo, responsabile per il Servizio della catechesi dell’arcidiocesi di Milano, mette a fuoco i riti della vita e la preghiera in famiglia.
– Professor Dal Santo, si può pregare nella vita quotidiana familiare? In che modo?
Certamente si può pregare in famiglia. È stato possibile e abituale fino a non molto tempo fa. Oggi occorre, però, proporlo e offrire strade possibili e sostenibili, perché la vita odierna è veloce e quindi chiede di rimanere più in superficie. Le soste, anche quelle della preghiera, rallentano, spezzano il ritmo. È il contrario della velocità e della superficie, ma questa è proprio la grazia a cui introdurre.
Una preghiera familiare possibile e desiderabile deve avere, però, i linguaggi di casa: semplice, alla portata di tutti, colorata, affettiva, sensibile, gestuale.
– Come la preghiera in casa può rinnovare anche la liturgia in chiesa?
La nostra tradizione occidentale ha separato la preghiera in casa da quella in chiesa. La tradizione ortodossa, ad esempio, ha tenuto un forte legame tra gesti, oggetti e tempi della liturgia e quelli della casa. Questo lavoro di tessitura lo ha fatto per secoli la pietà o spiritualità popolare, ma poi è stata guardata con sospetto, perché non era riconducibile a ciò che avveniva in chiesa. Sarebbe una grazia oggi una reciproca contaminazione dei linguaggi.
– Come una parrocchia può sostenere e accompagnare la preghiera in casa?
Creando occasioni, offrendo semplici riti di famiglia: il centro tavola dell’Avvento, il presepe, la preghiera davanti a un’icona, le uova colorate di Pasqua, il canto per esprimere la gioia. Non solo però preghiera in casa, ma riti di famiglia che fanno uscire: la spesa che diventa solidarietà con i più poveri, un pellegrinaggio, una visita artistica e di fede in una chiesa, la memoria del proprio battesimo.
– Quale ruolo hanno le feste cristiane, anche della pietà popolare?
Le feste sono grandi narrazioni. La pietà popolare (papa Francesco preferisce il termine “spiritualità popolare”) ha sempre provato a “rendere visibile” il mistero di Dio. San Francesco ha inventato il presepe perché «si vedesse con gli occhi del corpo il mistero dell’incarnazione».
La spiritualità popolare cerca forme sensibili, attraverso oggetti, cibi, regali, colori, canti e preghiere, per sentire più vicino il mistero celebrato. C’è una sinergia da riscoprire tra liturgia e spiritualità popolare, perché sono entrambe forme di incarnazione, di ingresso al mistero. Non sono sullo stesso piano, certamente, ma possono illuminarsi a vicenda.
Fonte: Settimananews

7 ottobre: uccidi!

Forse il peggio non viene dalle immagini, ma dalle parole: i terroristi, quasi tutti giovani, che si scattano foto celebrando i morti dei nemici urlando la loro gioia, urlando a squarciagola in questo deserto; e la folla che a Gaza circonda con altrettanta gioia i camioncini che portano ostaggi mezzi vivi e mezzi morti. Infine, il grido di un giovane nella telefonata al padre. «Abu, tuo figlio è un eroe. Ho ucciso con queste mani 10 israeliani. Con le mie mani, Abu», e il padre lo benedice, e il ragazzo chiede della madre e ripete «Sono un eroe madre», e nel sottofondo una voce, ma non si capisce se sia del padre o della madre, risponde «Uccidi, uccidi, uccidi».
Lucia Annunziata, La Stampa, 30 novembre 2023
Vedi anche: Andate via!

Andate via!

Una decina di giorni fa, otto coloni israeliani sono entrati di notte nel villaggio. Jinan stava dormendo su un materasso steso a terra nella stanza che divide con i suoi genitori, le due sorelle e il fratello. Uno dei coloni ha rotto la finestra, ha strappato la tenda con cui si è coperto il volto, è entrato nella stanza seguito da altri due uomini. Hanno puntato le pistole verso i bambini intimando i genitori di lasciare la casa prima possibile altrimenti li avrebbero uccisi e avrebbero dato fuoco a tutta Susya. Jinan piangeva, pensava che sarebbe morta. Ha cominciato a gattonare fino a raggiungere le braccia di sua madre e solo lì, dice, si è sentita al sicuro. Si è rannicchiata a terra, sentiva le grida del nonno dalla tenda vicino, e i coloni che urlavano «andatevene in Giordania, o vi faremo fare la fine dei vostri amici di Gaza». Dopo aver minacciato tutta la comunità sono tornati sul camioncino che li aspettava al bordo della strada e sono andati via.
Una settimana prima un colono che indossava un’uniforme dell’esercito è arrivato a bordo di un bulldozer, seguito da altre due auto che bloccavano le vie d’accesso. Il bulldozer ha distrutto le cisterne d’acqua, mentre gli altri coloni distruggevano le tubature a terra.
Il villaggio ha subìto anni di intimidazioni da parte dei coloni che vivono nelle vicinanze, ma dal 7 ottobre in tutta la Cisgiordania la violenza dei coloni è aumentata in modo significativo.
Francesca Mannocchi, La Stampa, 4 dicembre 2023
Vedi anche: 7 ottobre: Uccidi!

Cambiare per non perdere tutto

Le comunità fanno una grande fatica a capire quando un mondo è finito e ne è cominciato uno nuovo. Sono molte le ragioni di questa fatica collettiva, e in genere poco studiate soprattutto nell’ambito delle comunità di natura religiosa e spirituale, dove i vari livelli dei problemi (economico, organizzativo, carismatico…) si intrecciano e si confondono.
Su alcuni dei rischi e degli errori ci può ispirare un noto brano del Vangelo di Luca: “nessuno versa
vino nuovo in otri vecchi; altrimenti il vino nuovo spaccherà gli otri, si spanderà e gli otri andranno perduti. Il vino nuovo bisogna versarlo in otri nuovi”.
Quando un carisma arriva sulla terra, è un vino nuovissimo, frutto di un vitigno mai visto prima, sebbene frutto di innesti di vitigni della stessa grande vigna della Chiesa e dell’umanità. Tutti capiscono, all’inizio,
che quel vino nuovo ha bisogno di nuovi otri: ed ecco che la comunità dà vita a istituzioni, statuti, norme, linguaggi inediti che siano capaci di contenere e custodire quella novità.
Molto più difficile è capire quando nella storia di una comunità gli otri vanno ancora rinnovati perché c’è un vino novello. È difficile capirlo perché ormai il vitigno esiste, e molti pensano che gli otri saranno per sempre, che non arriverà più vino nuovo.
Ma c’è un giorno quando gli otri che hanno contenuto lo spirito del carisma diventano improvvisamente obsoleti. Non è cambiata la vite del carisma, è solo arrivato il vino novello di una nuova annata, nelle stesse vigna e viti di ieri. E qui occorre il coraggio di cambiare quasi tutto per non perdere tutto.
Luigino Bruni, Città Nuova, n.11 2023

Machilismo, femminismo e potere

Se un maschio alza le mani contro una donna lo fa perché vuole che lei gli sia sottomessa, e probabilmente cerca di riscattare così i casi in cui a essere sottomesso deve essere lui, nell’ambito lavorativo, o tra gli amici o in altre cento situazioni. Neppure le donne però sfuggono a questa logica imperante e impersonale della forza. Anzi, oggi non poche di esse tendono sempre più a «maschilizzarsi»: lo si capisce dal linguaggio volgare, prima appannaggio dei maschi e ora non più, e anche dalla vera e propria violenza fisica che alcune di loro riservano ad altre donne, come capita purtroppo di leggere con una certa frequenza nelle cronache quotidiane.
La vera questione non è quindi il fatto che uno sia maschio e l’altra sia femmina, il patriarcato o il matriarcato, anche perché vi sono uomini che non adorano anzi combattono la forza (vedi Gandhi) e vi sono donne che adorano e usano la forza (vedi Margaret Thatcher). Il punto focale riguarda piuttosto la seconda componente del termine «patri-arcato» o «matri-arcato», cioè il suffisso «arcato» che rimanda al greco «arché» che in questo caso significa «potere, comando, sovranità». Il punto focale è la forza, con il potere che essa conferisce.
Vito Mancuso, LaStampa, 24 novembre 2023

Maschilismo e femminismo

Quando la rivoluzione del ’68 è stata sconfitta, e duramente, quando ci siamo rintanati in casa, una casa molto diversa da quella in cui eravamo cresciuti, arresi non confessi al nuovo potere vittorioso, corri a casa in tutta fretta c’è un biscione che ti aspetta, ci siamo portati dietro l’unica cosa che c’era rimasta, la forza eversiva dell’amore, e senza rivoluzione era solo impotenza e disordine, perché i vecchi principi erano stati abbattuti e i nuovi anche solo troppo complicati da ricordare.
E nel disordine la mia generazione ha cresciuto i suoi figli, li abbiamo molto amati, sforzandoci di volergli anche bene senza sapere come fare, senza un ordine delle cose a cui conformare la loro vita, non ne avevamo più uno per noi. Quanti dei nostri figli invece che essere intenti a crescere nella certezza di farcela, andavano ancora all’asilo intanto che dovevano ingegnarsi a tenere assieme la famiglia in modo di arrivare a sera sani e salvi? Quanti ci sono riusciti? Quanta impotenza e quanto disordine abbiamo lasciato in eredità? Quanta frustrazione?
E mentre le femmine potevano contare almeno nel ricordo dell’unica rivoluzione non definitamente sconfitta, quella delle loro madri, cosa abbiamo lasciato di servibile ai maschi perché trovassero la strada della ribellione, se non al sistema almeno ai loro padri?
Maurizio Maggiani, La Stampa, 22 novembre 2023

Senso di colpa e contrizione

Zaccheo è uno di quei miracolati che nel Vangelo ci offre un’occasione per comprendere la logica dell’amore di Dio. Poco prima di entrare a Gerusalemme per compiere il suo destino, Gesù passa per questa città e compie un gesto pericoloso: perde la propria credibilità autoinvitandosi a casa del peccatore più famoso della città. Forse inizialmente Zaccheo avrà preso quella scelta come un riscatto nei confronti delle malelingue dei suoi compaesani che però giustamente lo disprezzavano per le sue scelte, le sue ruberie, i suoi soprusi. Ma cominciando a consapevolizzare che per colpa sua Gesù veniva disprezzato dagli altri sente dentro di sé l’impulso a cambiare vita. E così fa: si mette in piedi, si confessa pubblicamente, promette di restituire quattro volte tanto a chi ha rubato e di dividere ciò che gli rimane con i poveri.
Ecco cos’è la “contrizione”Nel linguaggio della vita spirituale forse abbiamo sentito qualche volta questa parola, confondendola il più delle volte con il senso di colpaMa Zaccheo non è oppresso dal senso di colpa, ma dal dispiacere di aver rovinato la fama dell’unica persona che gli ha mostrato amore. È l’amore il motore del suo cambiamento, non la propria fama, o il proprio io. Così ognuno di noi deve cambiar vita non per migliorare la propria immagine davanti agli altri, ma per quella misteriosa e salvifica esperienza di Amore che Gesù ci offre, mostrandoci di essere capace di perdere tutto per amore nostro. «Oggi la salvezza è entrata in questa casa, perché anch’egli è figlio di Abramo; il Figlio dell’uomo infatti è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto». Sarebbe bello se oggi ognuno di noi riuscisse a guardarsi dentro e a cercare di distinguere per bene se ci sono sensi di colpa o contrizione.
Luigi Maria Epicoco, fonte: Famiglia Cristiana

Amministrare la parrocchia

A volte mi chiedo se, per sollevare il clero dalle tante preoccupazioni e responsabilità amministrative, non sia il caso di iniziare a pensare a figure professionali di amministratori delle parrocchie, mi verrebbe da dire un po’ come l’amministratore del condominio a cui cedere anche la legale rappresentanza.
Attorno a questa ipotesi vi sono molti problemi legali, non da ultimo il fatto che il Concordato Stato Chiesa del 18 febbraio 1984 stabilisce che legale rappresentante della parrocchia sia il parroco. Alcune Chiese in Europa hanno iniziato a percorrere questa via e i risultati sono stati buoni, anche se si è poi dovuto creare un ufficio per la conciliazione dei conflitti fra parroci e amministratori laici!
+ Marco Pastraro
Fonte: Dio Dove sei finito? Inquietudini e interrogativi su una chiesa che diviene minoranza, Edizioni San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 2023

Sinodo: un passo epocale

I passaggi del Sinodo sull’ecumenismo danno speranza. Non solo è possibile imparare da altre Chiese.
È chiaro che esiste già una ricca diversità all’interno della Chiesa cattolica mondiale, che potrebbe aumentare ancora di più spostando le decisioni a livello dei continenti o delle Chiese locali.
Un tale ecumenismo interno alla Chiesa cattolica darebbe un impulso all’ecumenismo della Chiesa cristiana.
Una sinodalizzazione dell’ufficio papale potrebbe renderlo accettabile anche ad altre Chiese.
Se così fosse, le Chiese africane non dovrebbero più assentire all’esenzione del celibato in Amazzonia, e le aree ecclesiastiche dell’Europa orientale non dovrebbero accettare la benedizione delle coppie omosessuali. L’Africa potrebbe sviluppare una nuova pastorale in vista della poligamia, che il rapporto richiede esplicitamente –  cosa che è sicuramente storica.
L’arretrato della riforma della Chiesa cattolica potrebbe finalmente essere smaltito.
Paul M. Zulehner
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