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Figli: cose da ricchi


I figli da ricchezza dei poveri, i “proletari”, oggi rischiano di diventare un lusso da ricchi. Ci sono tre “C” a frenare l’aspirazione di un/a giovane ad avere un figlio (il Costo, la Cura che merita, la Conciliazione coi tempi del lavoro), ma ce n’è una quarta che fa saltare il banco, la C di Cultura, a causa di un modello in voga che non mette più la nascita di un figlio fra le priorità della vita…
Se la ricchezza da sola non basta, un po’ aiuta, come nella famosa massima che se “i soldi non fanno la felicità” , ma figurarsi a non avercene. Nel campione di giovani intervistati fra i 24 e i 28 anni a fronte di una media del 25% con figli, emerge che la percentuale sale al 50% fra chi ha un reddito sopra i 50mila euro annui, e scende progressivamente con la diminuzione del reddito: fra i 10 e i 15mila euro solo il 5% ha un figlio, sotto i 10mila la percentuale si azzera del tutto. Il dato si ripresenta anche fra gli over 35, che hanno figli per il 53%, ma anche qui la percentuale sale in proporzione al reddito, raggiungendo l’80% per cento per chi ha un reddito sopra i 50mila.
Angelo Picariello, Avvenire, 27 febbraio 2024

Per un piatto di lenticchie…


Ho avuto la grande fortuna di potermi formare alla Sapienza. A quelle lezioni universitarie ho appreso il concetto di “scambio politico” e cioè il patto che esiste – che deve esistere – tra le classi più deboli, quelle più esposte sotto il profilo economico sociale, e i ceti dominanti.

Deve essere un patto progressivo, e quindi garantire a ciascuno dei contraenti con futuro migliore o, nel peggiore dei casi, il mantenimento delle condizioni presenti e mai uno scambio che danneggi i soggetti sociali meno forti; altrimenti sul lungo periodo si sarebbe compromessa la tenuta complessiva del sistema.
Esiste un legame profondo tra un capo di abbigliamento venduto dei marchi del fast fashion e uno smartphone o un personal computer: sono fra i più scintillanti regali materiali che la globalizzazione ha fornito alla nostra società e ben poche sono le persone, anche delle classi sociali più svantaggiate, che non vi abbiano accesso. Questi beni occupano uno dei piatti delle dell’ideale bilancia che misura l’equilibrio dello scambio politico mentre sull’altro piatto vanno invece posti i diritti conquistati nel Novecento dalle stesse classi sociali: una scuola di qualità che fosse accessibile a tutti, l’assistenza sanitaria universale, il diritto al lavoro e alla casa.
Questo equilibrio è oggi seriamente compromesso: l’accessibilità ai diritti conquistati si è ridotta grandemente e, in cambio, le classi più deboli hanno avuto solo l’imporsi subdolo – e solo all’apparenza indolore – dell’orribile compravendita che ha sostituito alla dignità delle conquiste sociali la consolazione che nasce dal consumo di beni a basso costo: diritti contro merce, tutele contro un’illusione di benessere.
E’ così che si è sfasciato l’ascensore sociale.
Giulio Maria Brera, Tutto è in frantumi e danza, La nave di Teseo
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Vorrei ma non posso


I figli? Vorrei ma non posso. È la risposta che intimamente sembrano darsi i giovani italiani. E che in buona parte spiega il continuo crollo delle nascite e la discesa del tasso di fecondità totale a 1,29 figli per donna registrato dall’Istat nel 2018.
Più dell’80% dei giovani italiani ritiene infatti che non avere figli sia un limite alla realizzazione personale, eppure solo la metà (il 52,7%) si aspetta di averne 2 o più, mentre la percentuale di chi ormai pensa di fermarsi a zero figli o a uno sta aumentando progressivamente.
È questo “spread” tra desiderio (di 2 figli) e realtà (di 1,29) a preoccupare, dato che il numero di chi non vede più i figli come un traguardo positivo è al 17,8% tra i laureati, ma sale al 21,7% tra chi si è fermato alla scuola dell’obbligo. Una distanza tra un tipo di “ricchi” e di “poveri” che rischia di trasformare sempre di più la genitorialità in una conquista, se non un privilegio.
Massimo Calvi, Avvenire,27 novembre 2019
Fonte: http://www.scienzaevita.org/wp-content/uploads/2019/11/27-M.-Calvi-Avvenire.pdf

Un Paese diseguale

precari

“Il Paese è fermo, i segnali di ripresa ancora molto timidi e incerti. In compenso le disuguaglianze sono in aumento: tra ricchi e poveri, tra giovani e anziani, tra chi ha più figli e chi non ne ha, tra territori. L’Italia si colloca così tra i Paesi più diseguali all’interno dell’Unione Europea. Si consolida il fenomeno della povertà nonostante il lavoro, specie su base familiare. Perché un solo reddito da lavoro non basta per una famiglia, specie se numerosa, se è molto modesto o precario…” (Chiara Saraceno).
Economisti e Istituzioni che per lungo tempo hanno salutato con favore le politiche di deregolamentazione del lavoro, hanno dovuto riconoscere che non vi sono evidenze sufficienti per sostenere che tali politiche favoriscano le assunzioni.
Tutto ciò porta a dire che il lavoro non si crea per legge o con semplici slogan, ma coinvolgendo tutte le realtà presenti nell’attività lavorativa, dall’impresa al lavoratore, alle stesse forze sociali. Perché solo insieme si può dare una spinta propulsiva a un lavoro vero, qualificato e capace di guardare avanti, per creare stabilità e progresso economico e sociale.
Fonte: ACLI Piemonte
Vedi: http://www.aclipiemonte.it/allegati/aclipiemonte/news/949_ACLILINE_Dic2016_Gen2017.pdf

Disuguaglianza globale

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L’enorme divario che esiste tra i super-ricchi e il resto della popolazione mondiale, nella quale milioni di persone restano intrappolate nella povertà, sgretola le nostre società e minaccia la convivenza democratica. Un numero sempre maggiore di persone vengono abbandonate nella paura e un numero sempre minore vive nella speranza.
In concreto:
(1) Otto uomini da soli possiedono la stessa ricchezza dei 3,6 miliardi di persone che compongono la metà più povera dell’umanità. Nessuno di loro ha guadagnato la sua fortuna con il talento o con il duro lavoro, ma per eredità o per accumulazione di capitale per mezzo di affari spesso collegati a corruzione e clientelismo (Oxfam ha calcolato che 1/3 della ricchezza dei miliardari è dovuta a eredità, mentre il 43% a relazioni clientelari – cfr. OXFAM Italia).
(2) Sette persone su dieci vivono in un paese che ha visto aumentare la disuguaglianza negli ultimi 30 anni.
(3) I più ricchi accumulano ricchezza a un ritmo talmente spaventoso che il mondo potrebbe avere il suo primo trilionario («trillionaire», un individuo che possiederà più di 1.000 miliardi di dollari – ndr) nel giro dei prossimi 25 anni. Per dare un’idea, avere un trilione di dollari significa poter spendere 1 milione di dollari al giorno per 2.738 anni.
(4) L’estrema disuguaglianza mondiale ha un impatto enorme sulla vita delle donne. Le donne che lavorano, afflitte da elevati livelli di discriminazione sul posto di lavoro, si sobbarcano una quantità sproporzionata di «attività di assistenza» («care work», s’intende qui le attività domestiche e di cura a favore delle proprie famiglie – ndr) non retribuite e si ritrovano spesso sul fondo della scala sociale. Sulla base delle tendenze attuali, ci vorranno 170 anni affinché le donne siano pagate come gli uomini.
(5) L’elusione fiscale delle grandi società costa ai paesi poveri almeno 100 miliardi di dollari all’anno. Si tratta di una cifra che sarebbe sufficiente a offrire un percorso formativo ai 124 milioni di bambini che oggi non vanno a scuola e a prevenire la morte di almeno sei milioni di bambini grazie all’offerta di servizi di assistenza sanitaria.
Fonte: OXFAM Italia
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Ricchi, poveri e scuola

Accade che, negli asili e nelle elementari di Pomezia, gestite come tante altre in Italia con spirito manageriale, i bambini meno ricchi abbiano una refezione più scarsa.
Quindi i genitori poveri devono scegliere se lasciare i loro bambini senza dolce o spendere quaranta centesimi in più a pasto: l’efficientissimo Sindaco ha infatti avuto la trovata della doppia mensa. Non volendo tagliare (bontà sua) quantità e qualità del pranzo ai bambini, ha deciso di concedere il dolce per merenda solo ai ricchi: gli altri, se lo portino da casa, se vogliono.
Questa questione ci sembra di grande interesse: perché la scuola, in fondo, riflette un modo d’essere della società.
Questa è una società nella quale un buon numero di famiglie «benestanti» trova legittimo e persino educativo che, nella sfera dei pubblici servizi, chi ha meno riceva meno a partire dalla più tenera età.
Conosciamo le obiezioni e ci pare di sentirle: ci sono i furbi, i finti poveri, quelli che non pagano la retta e si comprano il Ferrarino.
Sarà. Ma ci sono sicuramente i bambini — ricchi o poveri che siano, bambini — che attingono da episodi così una lezione di ferinità che si porteranno appresso per la vita: i conti devono tornare, dal primo banco all’ultimo, come se i banchi fossero una catena di montaggio.
Forse i piccoli italiani, così montati nella nostra Scuola Spa, domani cammineranno nel mondo più vincenti: di certo, più soli e più cupi.
Goffredo Buccini, Corriere della sera
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