II vertiginoso aumento dell’infertilità di coppia rilancia la necessità di conoscere i ritmi del corpo. E rende indispensabile approfondire la via etica alla natalità sostenuta da Paolo VI nella Humanae vitae
La medicalizzazione della procreazione e i pretesi nuovi diritti procreativi, dal diritto a non avere figli al diritto al figlio, producono spesso nuove e profonde sofferenze personali e sociali.
I coniugi John e Evelyn Billings raccolsero l’appello rivolto da Paolo VI agli uomini di scienza nell’enciclica Humanae vitae (n.24), affinché offrissero «una base sufficientemente sicura a una regolazione delle nascite fondata sull’osservanza dei ritmi naturali»: missione difficile, soprattutto per l’humus culturale fortemente avverso.
Eppure, questo lavoro, anche se poco valorizzato, ha consentito di diffondere una conoscenza preziosa per il mondo scientifico e per la vita di numerose coppie, rappresentando un valido supporto nella ricerca di una gravidanza da parte di coppie – sempre più numerose – con difficoltà a concepire.
Inoltre rappresenta un argine culturale, educativo, etico e psicosociale alle delicate questioni che coinvolgono la sessualità, la famiglia e la vita, tra le quali la “decostruzione” della struttura sessuata dell’essere maschile e femminile prodotta dall’ideologia del gender, l’oscuramento dei diritti del concepito conseguente all’aborto e alla procreazione eterologa (che oltre a negare la vita a molti embrioni moltiplica le figure genitoriali dei “sopravvissuti”), e infine le soluzioni giurisprudenziali assunte come “scorciatoie” normative.
Angela Maria Cosentino, Avvenire 20 novembre 2014
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