La vocazione è la naturale evoluzione di un’identità battesimale.
Non esiste una bipartizione fra quelli che hanno la vocazione e quelli che non la hanno: a tutti spetta seguire il Signore Gesù in una forma concreta. E dunque il discernimento vocazionale non è altro se non il raggiungimento della maturità che qualsiasi cristiano deve raggiungere.
Quello che è mancato in questi decenni è stata la formazione cristiana. Abbiamo centrato il nostro impegno su aspetti secondari, come le tecniche della comunicazione e gli approfondimenti psicologici, trascurando quello primario: la questione vocazionale è essenzialmente spirituale. Lo afferma anche il tema di questa cinquantesima Giornata: “Le vocazioni segno della speranza fondata sulla fede”.
La vocazione è un rapporto con Dio: non dobbiamo pensare di attirare ragazzi per realizzare semplicemente delle cose belle ed efficaci, ma per valorizzare la loro relazione con il Padre celeste».
All’origine di questa carenza di informazione c’è il fatto che, a partire da una quarantina d’anni fa, si sono indebolite due istanze formative fondamentali: da una parte la famiglia (che rimase intrappolata nel delirio del consumismo e della secolarizzazione e che non si è più ripresa la sua statura piena di luogo virtuoso formativo), dall’altra noi sacerdoti (che abbiamo continuato a parlare presupponendo la fede, e con una autorità che nessuno dava più per scontata).
Di concerto a questo vuoto, negli ultimi cinquant’anni la cultura cristiana si è sgretolata e la colpa è nostra, poiché abbiamo scelto di lasciare l’ambito culturale ad altri, cosicché le nozioni cristiane sono state svuotate e banalizzate dal di dentro.
Questa non è una crisi irreversibile perché ogni momento di crisi è anche un punto di partenza e di cambiamento. L’importante è continuare ad annunciare il Vangelo senza sconti o compromessi, evitando di cadere in due istanze estreme: da un lato, una difesa rigida della posizione, senza capacità di spiegare il dato della fede; dall’altro, l’atteggiamento di chi è disposto a trattare su tutto pur di avere ascolto.
Il nostro interlocutore d’oggi, soprattutto se giovane, è spesso più alfabetizzato di noi a livello mediatico e informatico ed è capace di porre domande sostanziali.
Questa è una potenzialità, non un problema. Le risposte che attende devono essere nitide e esplicite, riproponendo con coraggio e allegria la vita cristiana come un viaggio verso cose grandi, che ha per meta il cielo.
Don Fabio Rosini, Servizio alle vocazioni del vicariato di Roma
Tratto dal settimanale Credere, San Paolo Edizioni, n. 3 2013
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