Una cultura e religione dolorifica

Cosa resterebbe delle nostre libertà se dovessimo rinunciare alla libertà dal dolore? Asserviti alla servitù del dolore ferale, estremo, saremmo ancora davvero capaci di godere di ogni altra libertà? Sarebbe bene ricordarci che questa rivoluzione non è stata solo chimica, medica, ma ha combattuto, e forse non ha ancora finito di farlo, contro la millenaria cultura, no, religione del dolore.
Parlando di noi, di qui, la dottrina cristiana si è aberrata nel culto del dolore. Il dolore come espiazione, come redenzione, come santificazione, imago Christi, il dolore sofferto e il dolore inferto, la tortura come purificazione, la morte atroce come santo castigo.
Eppure i dottrinari del dolore avrebbero dovuto sapere la ragione di quella spugna imbevuta. d’aceto offerta al Cristo nel suo supplizio. Non era aceto, non un gesto di disprezzo, ma vino aggiunto di trementina, che sì lo acidificava, ma funzionava come rudimentale anestetico, un gesto di pietà consueto persino nell’impero che aveva disseminato di croci ius et lex; consuetudine che è rimasta nella Roma papale, quando si bruciavano gli eretici davanti a Sant’Angelo, e i sagrestani spendevano quattro baiocchi per dare al condannato un bicchiere di vino che gli osti romani avvantaggiavano di trementina.
Sarebbe bene ricordare che per buona metà del XIX secolo i medici d’Occidente, credenti e miscredenti, hanno dibattuto sulla liceità e l’opportunità di anestetizzare il paziente durante la chirurgia.
Sarebbe anche bene ricordare che durante il primo conflitto mondiale le gerarchie militari intendevano proibire la diffusione dell’aspirina tra la truppa combattente, perché ritenevano che il dolore era un forte incentivo all’aggressività.
Sarebbe bene ricordarci che il dolore c’è sempre, è ovunque, disponibile per tutti, anche per me; il dolore vero, il dolore del Fuoco di Sant’Antonio e anche peggio, anche molto peggio, e ancora c’è chi oppone la sua accettazione al lenimento per conto di un’etica della sofferenza e del diniego alla palliazione che permane negli anfratti di quella religione della perversione.
E val anche la pena di ricordare che ora, in questo momento, dall’Ucraina al Myanmar, ovunque e forse a un passo di casa nostra o poco più in là, c’è chi si adopera per causare il massimo dolore come il più ovvio ed efficace strumento di dominio.
Maurizio Maggiani, La Stampa, 17 aprile 2023

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